L’UNICA SCUOLA IN ITALIA SPECIALIZZATA IN MOSAICO È TUTTORA SOTTO UNA STRUTTURA AMMINISTRATIVA CHE NE SVANTAGGIA FORTEMENTE L’IDENTITÀ E IL FUNZIONAMENTO. IN QUESTA INTERVISTA LA COORDINATRICE PAOLA BABINI CI SPIEGA PERCHÉ
L’Accademia di Ravenna è nata nel 1829. Fortemente sostenuta da Corrado Ricci, primo sovrintendente artistico italiano che nel 1924 dà inizio alla scuola del mosaico, vanta la partecipazione di personaggi illustri e una storia importante alle spalle. È nota per essere l’unica accademia in Italia dedicata al mosaico grazie ad una vocazione naturale propria della città (Ravenna, infatti, ha otto siti Unesco a tema mosaico): qui la antica tecnica viene studiata sia per ciò che concerne la conservazione, che per la promozione del mosaico contemporaneo. C’è anche un’importante gipsoteca, oggi smembrata e dislocata in diverse sedi. L’istituto fa parte delle cinque accademie storiche diffuse sul territorio nazionale – le altre sono Genova, Perugia, Verona e Bergamo –: una questione burocratica porta queste realtà ad essere subordinate sul piano amministrativo al comune di appartenenza. Qual è il primo svantaggio che la situazione comporta? Quello di essere gestiti da organi che spesso non sono a contatto con la realtà quotidiana e con i problemi dell’accademia stessa, e che soprattutto non ne riconoscono il potenziale e l’impatto sul lungo corso.
IL CASO DELL’ACCADEMIA DI RAVENNA
Sì, perché un’accademia non è semplicemente un luogo di formazione per aspiranti artisti. È un laboratorio di idee, in cui vengono create le opere che, sedimentate nel tempo, formeranno le collezioni e i musei del domani. E, di conseguenza, anche il notevole indotto del settore economico e turistico. Ma, per far funzionare tutto questo, ci vuole una sinergia di visioni da parte degli organi amministrativi e del territorio, non sempre così semplice da ottenere. Tornando alla questione delle accademie civiche, nel 2017 esce una legge – la 22bis – che permette loro di intraprendere un processo di “statizzazione”, come si legge nel testo, ovvero statalizzazione e quindi autonomia, facendo capo solo a organi interni. Un’opportunità unica che Ravenna vorrebbe cogliere al volo, se non che la sua macchina burocratica lo rende difficoltoso: nel 2008, infatti, nasce una convenzione tra il Comune di Ravenna e l’Accademia di Bologna. Una condizione che rende più complicata la presentazione della domanda di statalizzazione. Ma non tutto il male vien per nuocere: alcuni docenti dell’Accademia di Bologna, chiamati a coprire le cattedre ravennate, si rendono conto “sul campo” dell’importanza della sua storia e del suo potenziale (non sfruttato); spingono sull’acceleratore per la conquista dell’autonomia, incoraggiati anche dall’attuale sindaco Michele de Pascale.
ACCADEMIA DI RAVENNA: IL PROCESSO DI STATALIZZAZIONE
Tra le principali promotrici di questa battaglia condotta dall’Accademia di Ravenna c’è Paola Babini, insegnante di tecniche pittoriche e Coordinatrice delle Attività didattiche. “Abbiamo presentato la domanda a settembre 2019. Ora siamo in attesa del vaglio della commissione, aspettiamo notizie da Roma. Quando la richiesta sarà approvata e ce ne sarà data notizia, da parte nostra e dell’amministrazione ci sarà la massima volontà di mettere a posto tutte le pratiche necessarie per arrivare all’autonomia: ad esempio, riscrivere lo statuto, rivedere le cattedre di ruolo, riformulare la pianta organica, che al momento non è stabile e muta con frequenza”, spiega, raggiunta telefonicamente da Artribune. E racconta anche perché questo traguardo è così importante, e in che modo cambierebbe le cose: “per noi è fondamentale questo raggiungimento dell’autonomia, affinché si formi un’identità univoca per la nostra accademia storica. Il fatto che il sindaco abbia deciso di correre in direzione della statizzazione per noi è un grande valore aggiunto. In questo modo, potremo allargare l’offerta formativa e creare nuovi sbocchi professionali per studenti, contribuire alla crescita professionale dei docenti e far crescere anche il territorio dell’Emilia Romagna. La logica finale sarebbe quella di avere un polo accademico romagnolo, che farebbe capo a noi, e uno emiliano che diventerebbe Bologna. In questo modo potremmo essere molto più vicini alle necessità dell’accademia, invece di passare dalla macchina burocratica e dal Comune per ogni decisione”.
Fonte: Artribune