di Maurizio Nicosia
Dario Fo e l’accademia di belle arti di Ravenna si incontrano in un momento cruciale. Dario Fo è da poco rientrato da Stoccolma, dove ha ricevuto il nobel per la letteratura dal re Gustavo di Svezia. L’evento ha destato grande clamore. Nello stesso periodo l’accademia prepara i bagagli per trasferirsi dalla prestigiosa loggetta lombardesca alla periferia della zona industriale di Ravenna, dove ebbe sede il centro di formazione professionale Albe Steiner. L’episodio passa quasi sotto silenzio.
È il più recente trasferimento dell’accademia, che ha girato abbastanza per la città, dalla sua fondazione nel 1829. Ma sicuramente è il più doloroso, necessario per fare spazio al nuovo museo, il MAR. Un paradosso che sottolinea Alberto Giorgio Cassani: la galleria dell’accademia, nata come strumento della didattica, è divenuta col tempo più importante dell’istituzione che l’aveva creata.
Docenti e studenti sono smarriti e sfiduciati. È proprio Dario Fo a ridar loro slancio, con una collaborazione che durò un anno e più, dal ’98 al ’99. Con Vittorio D’Augusta, il direttore dell’epoca, pensano di ricreare le tende da sole che s’usavano una volta al mare: disegni briosi di Dario Fo che gli studenti traducono in grandi vele per colorare e ombreggiare la spiaggia di Cesenatico (sotto due esempi).
Il mondo delle accademie era ben noto a Dario Fo: si era formato a Brera. Probabilmente nella nostra piccola accademia ritrovava le sue origini e al contempo, nella situazione in cui si trovava a causa del trasferimento, vi vedeva gli emarginati che sono sempre stati il fulcro del suo lavoro, per cui gli è stato conferito il nobel nel ’97: “seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi“.
L’iniziativa riscuote successo. Le vele trovano consenso e si raccolgono 40 milioni, in parte destinati alle attività didattiche e agli studenti, in parte alla beneficenza. E Dario Fo, forse bighellonando tra il litorale e la città, finisce per innamorarsi di Ravenna. Studia, si documenta, raccoglie informazioni e concepisce l’idea di scrivere una storia della città. Naturalmente a modo suo: tanti disegni su un canovaccio che rivisiti e rivanghi la storia.
A novembre ne dà notizia e la città si sorprende di ricevere così tante attenzioni dal freschissimo premio nobel. Dario Fo non solo sta scrivendo il libro su Ravenna e lo pubblicherà in breve, ma intende esporre per la città grandi tavole dipinte in collaborazione con l’accademia e bimbi delle elementari che illustrino a grandi e piccini gli snodi e gl’intrecci della storia.
“Sarà un lavoro fantastico narrato su circa 170 tavole, con fumetti, didascalie, versi” –preannuncia il direttore dell’accademia Vittorio D’Augusta al Corriere di Romagna. La Repubblica sintetizza: “il lavoro, pronto nella prossima primavera, diverrà una mostra. Alcune immagini (ingrandite) verranno esposte anche sulle antiche porte cittadine”. Dario Fo ci tiene a chiarire l’intento dell’iniziativa al cronista del Carlino: “finalmente l’Accademia uscirebbe dalla sua condizione di isolamento nei confronti della città. Che è anche la causa dell’indifferenza dimostrata dai ravennati verso la vicenda del trasloco dell’Accademia al centro Albe Steiner“. (Carlino Ravenna, 13 novembre 1998)
Il resto della storia ce lo raccontano le fotografie del nostro archivio. Dario Fo è venuto in accademia, nella nuova sede di via delle industrie, i primi mesi del ’99. A gennaio, anzitutto, quindi in marzo. E nella grande aula di pittura s’è messo a dipingere alla maniera del vecchio Matisse (qui in una foto di Robert Capa), con un bastone e un pennello in cima. Ma invece del muro preferisce il pavimento, come i pittori di scena.
Intorno a lui gli studenti. Meno avvezzi alla pratica di dipingere scene stanno chini a terra. E Dario Fo parla, anzi racconta. Mentre racconta dipinge la scena, e le pennellate hanno le stesse flessioni, gli stessi balzi che impone alla sua voce. Il suo disegno, in fondo, è anch’esso un gramelot.
Il disegno sul grande pannello, nella foto qui sopra, è un primo, rudimentale abbozzo tratto dalla copertina della sua Vera storia di Ravenna. “Lei –spiega Dario Fo ai lettori della rivista Medioevo– è la splendida Onoria, lui è l’amante suo, un giovane procuratore di corte. La loro storia finisce tragicamente con l’imprigionamento dell’innamorato e la sua condanna a morte“. Dario Fo è abilissimo nel portarci altrove con i racconti: ci ammalia con la figlia di Galla Placidia e il suo amante, e ci fa già immaginare Paolo e Francesca.
Nell’introduzione al libro Fo avvisa i suoi lettori che i disegni sono tratti da moltissime opere antiche e moderne, riadattate a seconda degli scopi. Sotto il vivace e scenografico gramelot pittorico di Dario Fo, in questa Onoria colpita da una forte luce di scena si celano tracce greche: doveva essere in origine una di quelle fanciulle arcaiche (Korai) dagli occhi a mandorla, i lunghi capelli ondulati a cadere in ciocche sulle spalle. Quelle fanciulle greche che per fare un esempio ornavano l’acropoli d’Atene (sotto) e tanto piacevano anche agli Etruschi. A Dario Fo dev’essere piaciuto parecchio fondere le origini di Ravenna –etrusche, greche– con l’epoca imperiale, con Dante: creare un canovaccio che si ripete variato nella storia.
L’iniziativa si dev’essere ridimensionata, nel corso del ’99. Dalla primavera è slittata all’autunno, forse le tavole non sono arrivate a 170 e non hanno raggiunto le dimensioni macroscopiche previste inizialmente. E nemmeno hanno campeggiato sulle porte cittadine. Hanno raggiunto invece i luoghi più tranquilli e appartati della città, e forse è anche sensato che abbiano trovato meno spettatori, magari, ma meno distratti dal traffico. I suoi Giocolieri d’acqua –una bella fantasia di Fo sulla Ravenna romana, solcata da acque dolci e salmastre– hanno preso a remare tra le foglie d’autunno alla Rocca Brancaleone. E con loro gli altri personaggi della sua storia di Ravenna.
È stata una esperienza importante. Nel momento in cui l’accademia doveva affrontare una recisione, un isolamento, ha trovato in Dario Fo un sostegno e un amico. Ha dovuto riflettere sulla storia della città di cui è componente preziosa per la storia, il patrimonio, per la cura con cui tutela e alimenta il corso del mosaico e dei saperi fabbrili. Riflettere sulla storia è anzitutto conoscerla e custodirla, implica una tessitura che rimedia e sana le recisioni. Dario Fo, oltre l’amicizia e la generosità, ha suggerito all’accademia anche una terapia, e una rotta per il futuro. E gliene siamo ancora grati.
Risorse
- Gli antichi ci copiano sempre | Intervista a Dario Fo a cura di Alberto Giorgio Cassani ed Elisabetta Gonzo, 1999
Argomenti: il progetto con l’accademia, l’architettura, il rapporto tra antichi e moderni, la memoria - Fo e l’accademia di Ravenna | Album Flickr, 8 foto
- La vera storia di Ravenna | Archivio Franca Rame Dario Fo